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43. Voz

Baia con resti di architettura antica nonché luogo di una battaglia navale nell’antichità.

Il nome della baia, che in lingua croata è associato al verbo “guidare”, testimonia che attraverso lo stretto passaggio tra la terraferma e la penisola di Voščica (Bejavec) un tempo venivano trainate le navi. Le bitte di ormeggio hanno un’insolita forma antropomorfa e risalgono al XIX secolo, come pure la casa che si trova accanto alla chiesa. In particolar modo ricordano i “testimoni di Adamić” cioè dei paracarri in pietra dalla forma antropomorfa caricaturale che si trovavano davanti a palazzo di Andrea Lodovico Adamich a Fiume. Secondo i racconti che conoscono tutti gli abitanti della città, quest’imprenditore fiumano, all’epoca molto famoso e onnipresente, li fece scolpire per deridere le persone che avevano testimoniato il falso nei suoi confronti in tribunale.

Sui dolci pendii a nord-est della baia si trovano le fondamenta di un antico edificio, probabilmente una villa che diventò più tardi una fortezza. Si presume inoltre una fase paleocristiana e medievale, siccome trattasi di un territorio appartenente un tempo ai frati benedettini. Secondo le fonti medievali, in questo luogo si trovava anche la chiesa di San Mauro. In breve, questa località archeologica stratificata è ancora in attesa di essere scoperta dagli studiosi e presentata al pubblico.

In queste acque nel 49 a.C. si svolse una battaglia navale molto complessa nell’ambito delle guerre civili romane tra le forze di Cesare e Pompei. Sono pervenute molte informazioni di questa battaglia grazie al poeta romano Marco Anneo Lucano e alla sua opera epica Pharsalia, dedicata alla guerra civile di Cesare. Gli uomini di Pompei sotto il comando dell’ammiraglio Marco Ottaviano e sostenuti dagli alleati locali istriani e liburnici, famosi per la loro flotta con imbarcazioni veloci e agili, tra i quali c’erano anche i Fertinati, gli antenati degli odierni abitanti di Omišalj, grazie alle loro abilità marittime, stratagemmi, mimetismi e trappole marittime per imbarcazioni, sconfissero le numerose truppe di Cesare, nonostante i rinforzi che arrivarono in loro aiuto. Parte della fanteria di Cesare, sotto il comando di Gaio Antonio fu bloccata sull'isola di Veglia. La parte sotto il comando di Sallustio Crispo e Minuzio Basilio cercò di raggiungerli per aiutarli passando dalla terraferma di Vinodol all’isola. I rinforzi di Cesare, essendo poco esperti di navigazione in mare aperto, ma abili a attraversare fiumi e canali, cercarono di raggiungere l’isola attraversando il tratto di mare con tre grandi zattere improvvisate. L’alta marea aiutò due zattere a raggiungere la costa mentre la terza, la coorte di opitergini proveniente dall’area dell’odierno Veneto, fu bloccata da una trappola abilmente preparata. Secondo Lucano, i guerrieri si uccisero a vicenda piuttosto che cadere nelle mani del nemico ed essere costretti a combattere contro Cesare. I nemici restarono notevolmente impressionati da questo fatto e prepararono per loro una cerimonia funebre eroica. La tragica storia venne usata non solo come potente strumento di propaganda per gli seguaci di Giulio Cesare ma anche come esempio di coraggio e di fedeltà di quel classico periodo antico.

 

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